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  Alexander Kanevsky
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..se ci fossero delle elezioni per nominare un solo dipinto, che rappresenti al meglio il nostro secolo, in tutta la sua gloria orrenda, il mio voto andrebbe molto probabilmente al “Laboratory of Sin” Laboratorio del peccato, un trittico epico dell’artista russo emigrato e ormai cittadino naturalizzato statunitense Alexander Kanevsky.

Ed McCormack - Critico d'Arte


Alexander (Kanevsky) quando dipinge, sa trasmettere con grande suggestione ciò che vuole dire. Per lui, medico chirurgo, il corpo non ha segreti, non lo intimorisce e da oncologo, è specializzato nell’individuazione dei tumori, anche quelli della società. Da scrittore, ci propone un’ arte figurativa letteraria, mitologica e fantastica, espressa seguendo il suo istinto. Alexander (Kanevsky) è come un fiume in piena, che scenda con grande velocità e potenza. Egli sa dove andare, attraversa i territori della mitologia, della religione e della società in cui viviamo restituendoci la sua interpretazione. Da attore, s’immedesima nei personaggi, diventa Zeus e si trasforma in Alessandro Magno. Da cantante, sa raffigurare la voce, umana o animale che sia, e la fa uscire dal quadro. In questa mostra Giants, Powers, Enigmas, ci accompagna in un viaggio nel suo incredibile mondo onirico.

Jean Blanchaert - Gallerist, Galleria Blanchaert Milano, Italia


Alexander Kanevsky,
ROMA ART FESTIVAL - 49^ Rassegna d'Arte "RE DI ROMA
a lato Alexander Kanevsky con Egidio La Rosa, responsabile del Portale RomArt.it
Roma, 30 maggio 2014 - Piazza della Repubblica

..Alexander Kanevsky, appena tornato da un trionfante giro di esposizioni in Europa - tour che l’artista, proprietario di un ego paragonabile al suo talento, farebbe probabilmente sembrare come la conquista del mondo antico fatto dal suo omonimo alessandro magno - e con in programma una grande esposizione new yorkese in Chelsea, che da inizio alla nuova stagione artistica questo mese, Kanevsky è al momento al top della sua uova forma. E “Laboratory of Sin,” finora il suo capolavoro, e’ un quadro che si potrebbe descrivere solo come qualcosa fatto dalla prole mutata e bastarda nata dal connubio di Hieronymus Bosch con il maestro del grottesco dublinese Francis Bacon. Non possiamo parlare in vece del Signor Bacon, che prima della sua morte nel 1992, era acclamato come “il piu’ bravo pittore moderno di Gran Bretagna” e esaltato dalla societa’ di Londra, ed era abituato a frequentare i pub dei gangster, le bische e i locali dove si pratica sesso violento nell’East End. Pero’ da quello che si puo’ concludere – come Bosch, la cui arte figurativa causò speculazioni sul suo praticare la stregoneria, mentre in realtà frequentava la chiesa ed era un pilastro della sua comunità olandese del basso medioevo, il Kanevsky, che vive tranquillamente con Nathalie, la sua incantevole sposa, evidentemente esemplifica il dictum di Flaubert: “Siate violenti e originali nell’arte, vivete come un borghese.”

Ci sono tre quadri essenziali che onorano i nostri muri affollati e che nutrono quotidianamente il mio spirito: il primo e’ un mio ritratto a figura intera dipinto in acrilico da miamoglie, Jeannie McCormack, poco dopo che noi e il nostro giovane figlio Holden ci siamo riunificati negli anni settanta - dall’aspetto, purtroppo, con la mia nera e folta barba che ho lasciato crescesse per segnalare la transizione da giornalista affettato, allucinato, drogato e ubriaco, al sobrio paterfamilias bohemien ormai rispettabile, singolarmente come il monaco matto Rasputin. Il secondo quadro e’ una grande litografia originale di Robert Cenedella chiamato “Gallery Opening,” l’inagurazione della galleria, che mi fa ricordare, con le sue varie persone false e gli scrocconi che scendono come avvoltoii sul cameriere mentre spinge il bar portatile, il motivo percui non vado a quei tipi di eventi. Il terzo, dal momento che sia io che Jeannie amiamo i volatili, si chiama “Toocan,” un dipinto ad olio di dimensione considerevole di Kanevsky, in cui una coppia cherubica nuda fa capriole su un solido albero, ed una maestosa figura aviaria si staglia sull’idilliaco sfondo di nuvole rosa pallido. Ho potuto ottenere così tanto comfort quotidiano dal possesso di Kanevsky “Laboratorio di Sin,” dal momento che la sua grandezza risiede nel suo essere sconcertante. Se esiste una giustizia, qualche miliardario che non deve dormire e mangiare sotto lo stesso tetto della sua collezione, si accaparrerà questo inquietante capolavoro contemporaneo, che eventualmente donerà a qualche grande museo dove i visitatori, per parafrasare un vecchio detto, possano “visitarlo senza doverci convivere.”

Forse il monumentale dipinto ad olio di Kanevsky può essere descritto al meglio da una frase che uno storico d’arte ha usato riferendosi ad un’altro trittico molto piu’ antico, il “The Garden of Earthly Delights”, il giardino delle delizie terrestre di Bosch, che lo storico ha definito come “ uno squilibrio erotico mentale che ci rende tutti voyeur.” La forma centrale della composizione in “Laboratory of Sin” e’ un nudo maschile visto di schiena. Lui gira la testa a guardare il pubblico in un invito lascivo che ricorda Joel Gray nel ruolo del padrone di casa in un club a Berlino nella commedia musicale “Cabaret.” Veramente, potrebbe quasi comparire all’improvviso nel titolo di quello spettacolo, mentre mostra le sue natiche rotonde allo spettatore, invitando a riflettere su un varietà di atrocità che emergono da quanto sembra essere una scena della creazione in uno spazio simile a un atrio immerso in una foschia blu elettrico. Un braccio immenso e muscoloso come quello di Dio che crea Adamo, dipinto da Michelangelo sul soffitto della cappella Sistina, si allunga verso il basso sul soffitto. Invece di allungarsi a toccare il dito di Adamo, la sua mano compie un gesto simile a quelli usati dai gangster per riconoscersi, mentre afferra la piccola figura di un ometto con la bocca spalancata come se venisse schiacciato. Intanto, un satiro nudo e maligno con una proboscide a forma di becco e un pizzetto a punta fa un ballo scherzoso, mentre tiene le gambe di quell’ometto torturato nei suoi pugni e si piega in avanti a baciare uno delle dite allungate di Dio come si farebbe per baciare l’anello di un Papa. Vicino, le spoglie nude senza forma di un amputato multiplo uscito direttamente da un incubo sono sospese ai ganci come fossero una carcassa di mucca. I suoi occhi sono piccoli ma una lingua gigante pende inanimata dalla sua bocca. La pelle della pancia e’ sollevata per mostrare le serpentine degli intestini sanguigni che brillano lividi e culminano in un ammasso rosso e penico della stessa lunghezza di quello che è rimasto dell’unico moncone bianco di una gamba. Alla sinistra del malizioso M.C., un altro nudo maschile è sospeso sottosopra da una imbracatura di cuoio come quelle che si trovavano negli anni settanta nelle famose segrete chiamate The Ramrod di S&M nel West Village. E accanto a quella, appesa a un vero gancio da macellaio, insieme ad altre parti del corpo appese ad un cavo più sopra, c’e’ un voluttuoso tronco femminile della pelle d’oro con una testa nera di lupo che copre a malapena l’inguine, che ha degli occhi gialli brillanti come luci elettriche, e il muso che esce fuori come la lente della fotocamera del pornografista. Numerosi altri dettagli emergono dalla foschia blu elettrico durante una contemplazione prolungato di questo quadro complesso. E se uno riesce a guardarlo per un tempo abbastanza lungo, quello che piano piano diventa chiaro e’ che quello che Alexander Kanevsky ha disegnato in “The Laboratory of Sin” non e’ semplicemente un catalogo delle irregolarita’ anatomiche e le atrocita’ fisiche ma una visione profonda di che cosa potrebbe salutare le anime appena arrivate nelle anticamere dell’Inferno, mentre aspettano di non essere iniziati, insieme a celebrità del calibro di Adolph Hitler, Joseph Stalin, e Charles Manson, nel grande salone dell’infamia, ma in attesa di una o due eternità del purgatorio, come nell’ufficio della motorizzazione oppure l’ufficio di sussidi pubblici, aspettando il proprio turno per spiegare la moltitudine dei piccoli tradimenti, reati e infrazioni che noi tutti commettiamo ogni giorno, non contro i nostri nemici immaginari, ma le cui vittime e ostaggi sono quelli ai quali ci riferiamo come ”nostri cari”.
Critica di Ed McCormack
   
   
 

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