Dopo il grande successo di pubblico ottenuto a Milano, Andy Warhol giunge finalmente a Roma. Le opere dell’artista statunitense, padre della Pop Art americana, saranno ospitate nelle sale del rinnovato Museo della Fondazione Roma, Palazzo Cipolla.
Dal 18 aprile al 28 settembre 2014 al Museo Fondazione Roma, Palazzo Cipolla saranno esposte 150 opere dell’artista americano, provenienti dalla The Brant Foundation, di cui è fondatore e Presidente il curatore della mostra Peter Brant, amico di Warhol e noto collezionista, la cui curatela è accompagnata dal contributo di Francesco Bonami.
Promossa dalla Fondazione Roma, dalla Soprintendenza Speciale per il Patrimonio Storico Artistico ed Etnoantropologico e per il Polo Museale della Città di Roma e dal Comune di Milano-Cultura, l’esposizione è prodotta e organizzata da Arthemisia Group e da 24 ORE Cultura – Gruppo 24 ORE.
La mostra racconta tutto il percorso professionale di Warhol, presentandone i capolavori di ogni periodo artistico: come scrive Francesco Bonami nel suo saggio in catalogo (edito da 24 ORE Cultura), “la mostra è un’occasione rarissima per il pubblico di poter vedere uno dei gruppi di opere più importanti dell’artista americano (…) raccolto non da un semplice, per quanto appassionato, collezionista ma da un personaggio, Peter Brant, intimo amico di Warhol con il quale ha condiviso gli anni artisticamente e culturalmente più vivaci della New York degli anni ‘60 e ‘70”.
Il percorso della mostra si avvia negli anni Cinquanta, quando Warhol debutta nella commercial art e presto lavora come illustratore per riviste prestigiose (da Harper’s Bazar al sofisticato New Yorker) e come disegnatore pubblicitario. E proprio dal lavoro per un famoso negozio di scarpe trarrà l’idea delle incantevoli scarpette a foglia d’oro che aprono la mostra insieme ad alcuni esempi di Blotted line, con quel tipico segno gracile e interrotto, frutto del caso più che della volontà dell’autore.
È però una coloratissima e precoce Liz del 1963 a introdurre alla sala successiva dove si annunciano le prime Campbell’s Sup e Coke, insieme a Disaster (Warhol coltivò un forte rapporto di attrazione e repulsione per la morte). Ma poiché le Collezioni Brant sono eccezionalmente ricche – di opere pittoriche soprattutto ma anche di importanti disegni – si può dire che non ci sia tema tra quelli trattati da Warhol che non sia rappresentato ai massimi livelli: ci sono i dipinti dei francobolli, come S&H Green Stamps, 1962, fatti con stampini ripetuti e più e più volte sulla carta (l’iterazione è uno dei codici linguistici prediletti di Warhol perché rende semanticamente più “neutro” il soggetto) e, dello stesso anno, i Red Elvis e il grandioso 192 One Dollar Bills; così come ci sono due splendide Marilyn, una del 1962 – lei appena morta – e una delle 4 Shot Marilyn del 1964, i dipinti trapassati in fronte dal colpo di pistola sparato in studio da un’amica del fotografo Billy Name.
Così pure saranno presenti in mostra altre super icone di Warhol: le Brillo Box e i primi Flowers, 1964, esposte a suo tempo nella prestigiosa galleria di Leo Castelli come se fossero sgargianti carte da parati.
E anche i Mao, 1972, con i quali Warhol inaugura una nuova pittura meno neutrale e più gestuale; le Ladies and Gentlemen – la serie dedicata alle Drag Queens di New York - e un gran numero di Skulls, i teschi che dal 1976 in poi si moltiplicano nel suo lavoro che di lì in poi attinge a simboli più universali.
Un’intera sala sarà dedicata alle polaroid che formano una sorta di gotha della New York anni ‘60: la fama era del resto un’ossessione di Warhol e non a caso fu lui a coniare la famosa, e terribilmente profetica frase, sempre citata e spesso storpiata “15 minuti di celebrità” a cui in futuro nessuno avrebbe rinunciato.
Non poteva mancare un’Oxydation (1978) gigantesca, ottenuta urinando su pigmenti metallici (nei suoi “Diari” le chiama Piss) e provocando così una reazione chimica che sfugge al controllo e crea nuovi colori.
Esposto anche un immenso Camouflage del 1986, stesso anno della serie in cui rese omaggio a Leonardo Da Vinci con Last Supper, pure presente in mostra. Un anno dopo, nel 1987, Warhol moriva, dopo essere scampato miracolosamente alla nera signora nel 1968 quando una pazza gli aveva sparato al ventre.
Andy Warhol non solo è stato il più acuminato interprete della società di massa e del consumismo, folgorante sociologo dell’America anni ‘60 ma ha saputo trasformare in arte i feticci dell’immaginario collettivo americano, anticipando l’instaurarsi del potere dei mass media. Lui ha trasformato in icone la Coca Cola come Elvis Presley, la Campbell’s Soup come Liz Taylor e Marilyn Monroe, il biglietto del dollaro come Jackie Kennedy.
La mostra che si aprirà a Roma rende ragione e dimostrazione di tutto ciò.
POP ICONS
Il Museo Fondazione Roma, Palazzo Cipolla, dal 18 aprile al 28 settembre 2014, ospita le opere del grande fotografo Terry O’Neill con una retrospettiva intitolata Terry O’Neill. Pop Icons.
Una carrellata di ritratti che raccontano attraverso i volti dei miti del cinema, della musica, della moda, della politica e dello sport, la carriera artistica del fotografo britannico.
La mostra promossa dalla Fondazione Roma, prodotta e organizzata da Arthemisia Group e da 24 ORE Cultura – Gruppo 24 ORE, offre un’ulteriore testimonianza di come il culto della celebrità, leitmotiv degli anni ’60 - ’70, abbia notevolmente influenzato il lavoro degli artisti dell’epoca.
Inaspettatamente il lavoro di O’Neill può essere accostato a quello di Andy Warhol ossessionato per le immagini e la notorietà, le cui opere sono esposte contemporaneamente a quelle del fotografo.
L’artista americano padre della Pop Art fin dall’infanzia colleziona autografi di star, presagendo il dilagare della mania dell’immagine.
Nel suo studio, la famosa Factory, Warhol raccoglie intorno a sé un gran numero di artisti, scrittori, musicisti e figure underground e i ritratti scattati con la sua polaroid costituiscono la base dei suoi iconici dipinti fotografici.
Curata da Cristina Carillo de Albornoz, la retrospettiva dedicata a Terry O’Neill, contiene alcuni dei suoi lavori più celebri, 47 ritratti che documentano i momenti più intimi e naturali delle icone del pop degli ultimi 40 anni.
“Ho avuto fortuna. Mi sono trovato nel posto giusto al momento giusto: la Londra degli anni 60. Avevi l’impressione che ogni giorno succedesse qualcosa di rivoluzionario” racconta Terry O’Neill.
Nato a Londra nel 1938 può essere definito uno dei fotografi più celebri del nostro tempo che ha saputo cogliere, con straordinaria abilità, immagini autentiche e spontanee di molte delle leggende del Novecento; personaggi che hanno segnato la storia diventando delle vere e proprie icone. Politici, cantanti e attori con lui trovano la chiave perfetta per esprimere al meglio la loro personalità.
Collabora con riviste importanti come Rolling Stone e Vogue, e con altri celebri colleghi, tra cui David Bailey, Terence Donovan e Brian Duffy.
Tutti autori di quelle fotografie che hanno immortalato la “Swinging London” di quegli anni.
I suoi archivi, recentemente riordinati, rivelano la sua visione poetica della bellezza e del mito degli anni ‘60 e ’70.
I suoi scatti più belli sono spesso rubati dietro le quinte di set cinematografici e concerti, momenti informali nei quali i soggetti potevano sentirsi liberi di essere se stessi.
O’Neill entra letteralmente a far parte delle loro vite, trascorrendo con loro intere giornate in piena sintonia con il clima rilassato e disinvolto dell’epoca.
La sua grande abilità nel gestire le pubbliche relazioni in rapporto allo star system insieme alla capacità di essere per i suoi soggetti un osservatore discreto, gli ha permesso di illustrare il successo dalla A alla Z.
L’uso della più leggera e maneggevole 35mm, una novità assoluta per l’epoca, lo ha aiutato a rendere il suo stile naturale e inconfondibile.
Terry O’Neill, il cui sogno era diventare un batterista jazz, ha cominciato la sua carriera nel dipartimento di fotografia della British Airways nell’aeroporto di Heathrow di Londra, dove fotografava i viaggiatori che arrivavano nel paese.
Nel 1959 inizia a lavorare per il periodico Daily Sketch.
Nel 1963, per lo stesso periodico, scatta la prima fotografia dei Beatles, negli studi di Abbey Road in occasione dell’uscita del loro primo album Please Please me, per la prima volta un gruppo musicale appare sulla copertina di un periodico britannico.
A questa foto ne seguono molte altre, dai Rolling Stones, a David Bowie ed Elton John.
Nello stesso periodo ritrae le grandi icone della moda da Twiggy a Jerry Hall.
A 26 anni decide di andare a Hollywood. I suoi amici, Micheal Caine e Richard Burton, gli aprono le porte del mondo del cinema, permettendogli così di immortalare star del calibro di Clint Eastwood, Paul Newmann, Sean Connerry e Robert Redford.
Vivendo tra i miti dello spettacolo e avendo con loro un rapporto di grande vicinanza e complicità, nei suoi cinquant’anni di carriera O’Neill realizza alcuni dei ritratti più autentici, da Frank Sinatra (fotografato nell’arco di trent’anni) a Elvis Presley, da Elton John a Bono Vox, da Elizabeth Taylor a Audrey Hepburn, da Brigitte Bardot a Ava Gadner fino a Marlene Dietrich.
Terry O’Neill e Warhol hanno ritratto entrambi, in maniera stupefacente, gli stessi personaggi leggendari come Elvis Presley ed Elizabeth Taylor, per citarne solo alcuni.
Tutti e due hanno cercato di cogliere ed esaltare l’essenza di ciascuno dei loro soggetti esprimendone la grandiosità e consacrandoli a icone senza tempo.
Fonte:
www.romeguide.it
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