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una variegata panoramica sul contesto artistico contemporaneo,
occupandosi nello specifico della grande ricerca formale ed
ideale nata nel secondo dopoguerra proprio da uno dei suoi
piu’ significativi rappresentanti: Alberto Burri.
Indubbiamente infatti,
all’interno dei “materici” , campeggia la sua figura e
l’esposizione ne esalta le caratteristiche mettendo pero’
anche a confronto stili ed epoche ben distinti.
E’ importante fare una premessa
riguardante il contesto storico - sociale da cui prende vita
il nuovo stimolo creativo: dal cuore di chi ha provato
l’inutile orrore della guerra e delle dittature, infatti nasce
la voglia di ricominciare, di ricostruire qualcosa, pur di
scrollarsi di dosso l’incubo del passato.
Da questo momento dunque l’arte
cerca, estendendo ovunque i suoi orizzonti, di rinnovarsi ma
lo fa ben diversamente dai movimenti d’avanguardia che avevano
preceduto tutto questo: a volte anche cedendo alla frenesia ed
ingordigia della nuova epoca contemporanea e consumistica.
Burri rappresenta appieno questo
momento storico artistico ma a differenza della massa, egli
svolge una ricerca fin da subito, rigorosa, sperimentando
materiali insoliti e “poveri” che suscitarono inizialmente una
comprensibile reazione polemica.
L’uso dei Sacchi ad esempio
iniziato intorno al 1952, alcuni dei quali presenti in
mostra, spesso laceri e sporchi, testimonia una volontà palese
di non dimenticare, di estrapolare dalla loro materia semplice
e logora , il senso dell’umanità, un’indagine attraverso i
sogni e le sofferenze patite.
Anche gli strappi, le parti
rammendate dei Sacchi, apparentemente casuali, conservano e
testimoniano nelle sgranature delle trame tracce indelebili di
un passato valoroso.
Ma l’esposizione si sviluppa
intorno alla figura di Burri, seguendo due grandi filoni:
in una prima sezione esamina
alcuni contemporanei che operando nella stessa direzione
dell’artista, hanno pero’ avuto approcci diversi con la
materia, così come il catalano Tapiès che sembra giocare con
la sostanza plasmandola, Lucio Fontana ed il francese Jean
Fautrier con le sue suggestive “hautes pates”- addensamenti di
grumosa materia - mentre nella seconda parte vengono accolti
quegli artisti che hanno proseguito il cammino intrapreso da
Burri , giungendo all’analisi ed all’uso di materiale
extrapittorico, come Mario Schifano ed Ettore Colla.
Ma non solo. La mostra ospita
anche grandi rappresentanti d’oltreoceano, come Rauschenberg
ed i suoi contemporanei, che esprimono il disagio della
nascente società consumistica e sempre piu’ alienata dal
superfluo: in questo contesto, anche una chiusura lampo riesce
ad essere un importante tassello dell’opera artistica.
A Roma dunque, è di scena
l’indagine sulla materia, la nascita dell’informale, una
ricerca che sfida la quotidianità e l’ordine, che riesce a
trovare bellezza e forza espressiva negli oggetti piu’
impensabili, nella stoffa così come nel ferro arrugginito,
rivalutando materiali “scartati” e per questo lasciando
sbigottita una società sempre piu’ frenetica e disinteressata.
Questo evento espositivo dunque
racchiude in sé una duplice volontà: da un lato dimostra come
tutto, tra le mani di un artista, diventa capolavoro e
dall’altro provoca, per scuotere le coscienze dormienti dei
nostri tempi.
Irene Di
Biagio
Biografia di Alberto
Burri (1915-1995):
è l’artista italiano, insieme a
Lucio Fontana, ad aver dato il maggior contributo italiano al
panorama artistico internazionale di questo secondo
dopoguerra. La sua ricerca artistica è spaziata dalla pittura
alla scultura avendo come unico fine l’indagine sulle qualità
espressive della materia. Ciò gli fa occupare a pieno titolo
un posto di primissimo piano in quella tendenza che viene
definita «informale».
Nato a Città di Castello in
Umbria, segue gli studi di medicina e si laurea nel 1940.
Arruolatosi come ufficiale medico, viene fatto prigioniero a
Tunisi dagli inglesi nel 1943. L’anno successivo viene
trasferito dagli americani in un campo di prigionia in Texas.
Qui inizia la sua attività artistica. Tornato in Italia
abbandona definitivamente la medicina per dedicarsi
esclusivamente alla pittura.
Sin
dall’inizio la sua ricerca si svolge nell’ambito di un
linguaggio astratto con opere che non concedono assolutamente
nulla al figurativo in senso tradizionale. Le prime opere che
lo pongono all’attenzione della critica appartengono alla
serie delle «muffe», dei «catrami» e dei «gobbi». Questa
opere, che esegue tra la fine degli anni Quaranta e gli inizi
degli anni Cinquanta, conservano un carattere essenzialmente
pittorico, in quanto sono costruite secondo la logica del
quadro. Le immagini, ovviamente astratte, sono ottenute, oltre
che con colori ad olio, con smalti sintetici, catrame e pietra
pomice. Nella serie dei «gobbi» introduce la modellazione
della superficie di supporto con una struttura di legno, dando
al quadro un aspetto plastico più evidente.
Alla prima metà degli anni
Cinquanta appartiene la sua serie più famosa: quella dei
«sacchi». Sulla tela uniformemente tinta di rosso o di nero
incolla dei sacchi di iuta. Questi sacchi hanno sempre un
aspetto «povero»: sono logori e pieni di rammenti e cuciture.
Al loro apparire fecero notevole scandalo: ma la loro forza
espressiva, in linea con il clima culturale del momento
dominato dal pessimismo esistenzialistico, ne fecero presto
dei «classici» dell’arte. Con alcune mostre tenute da Burri in
America tra il 1953 e il 1955 avviene la sua definitiva
consacrazione a livello internazionale.
La sua ricerca sui sacchi dura
solo un quinquennio. Dal 1955 in poi si dedica a nuove
sperimentazioni che coinvolgono nuovi materiali. Inizialmente
sostituisce i sacchi con indumenti quali stoffe e camicie. La
sua ricerca è in sostanza ancora tesa alla sublimazione
poetica dei rifiuti: degli oggetti usati e logorati ne
evidenzia tutta la carica poetica come residui solidi
dell’esistenza non solo umana ma potremmo dire cosmica.
Dal 1957 in poi, con la serie
delle «combustioni», compie una svolta significativa nella sua
arte, introducendo il «fuoco» tra i suoi strumenti artistici.
Con la fiamma brucia legni o plastiche con i quali poi
realizza i suoi quadri. In questo caso l’usura che segna i
materiali non è più quella della «vita», ma di un’energia che
ha un valore quasi metaforico primordiale – il fuoco – che
accelera la corrosione della materia. Nella sua poetica è
sempre presente, quindi, il concetto di «consunzione» che
raggiunge il suo maggior afflato cosmico con la serie dei
«cretti» che inizia dagli anni Settanta in poi. In queste
opere, realizzate con una mistura di caolino, vinavil e
pigmento fissata su cellotex, raggiunge il massimo di purezza
e di espressività. Le opere, realizzate o in bianco o in nero,
hanno l’aspetto della terra essiccata. Anche qui agisce un
processo di consunzione che colpisce la terra, vista anch’essa
come elemento primordiale, dopo che la scomparsa dell’acqua la
devitalizza lasciandola come residuo solido di una vita
definitivamente scomparsa dall’intero cosmo.
Nell’opera di Burri l’arte
interviene sempre «dopo». Dopo che i materiali dell’arte sono
già stati «usati» e consumati. Essi ci parlano di un ricordo e
ci sollecitano a pensare a tutto ciò che è avvenuto nella vita
precedente di quei materiali prima che essi fossero
definitivamente fissati nell’immobilità dell’opera d’arte. La
poetica di Burri, più che il suo stile, hanno creato influenze
enormi in tutta l’arte seguente. La sua opera ha radicalmente
rimesso in discussione il concetto di arte, e del suo rapporto
con la vita. L’arte come finzione mimetica che imita la vita
appare ora definitivamente sorpassata da un’arte che illustra
la vita con la sincerità della vita stessa.
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