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La mostra ricostruisce il suo percorso dagli anni della
giovinezza a Bologna fino alla maturità a Roma, e
permette di apprezzare per intero la straordinaria
varietà e ricchezza della sua opera: i ricercatissimi
disegni, le incisioni, la gamma eccezionalmente ampia di
dipinti, dai soggetti di genere ‘basso’ alle pale
d’altare, dai ritratti ai paesaggi.
Nella sede bolognese essa si articolerà in otto sezioni,
comprendenti materiali diversi (dipinti, disegni,
incisioni), che permetteranno al pubblico più vasto di
prendere conoscenza dei problemi con i quali il pittore
dovette misurarsi nel corso della sua attività.
Opportuni collegamenti saranno istituiti con gli edifici
cittadini (palazzo Magnani, di proprietà di UniCredit
banca; palazzo Sampieri, di proprietà privata) in cui si
conservano affreschi dei Carracci e di Annibale in
particolare. L’opera più importante a Roma, la
decorazione della Galleria e del Camerino in palazzo
Farnese (sede dell’Ambasciata di Francia), sarà evocata
attraverso supporti multimediali.
Durante la tappa romana della mostra, che sarà allestita
presso il Chiostro del Bramante dal 23 gennaio al 6
maggio 2007, accordi specifici permetteranno ai
visitatori di accedere alle meravigliose sale di Palazzo
Farnese affrescate da Annibale tra il 1597 e il 1600.
Le
sezioni della mostra
I. UNA VITA NEGLI AUTORITRATTI
Lungo tutta la sua vita, Annibale Carracci, come altri
grandi artisti, ritrae il proprio volto e, in una serie
straordinaria di dipinti e disegni, ne studia il
progressivo declino, come di una luna che gradualmente
si oscura. Nato nel 1560, terzo fra tre cugini tutti
dediti alla pittura, egli vive un’epoca di grandi
cambiamenti sociali, nel corso della quale lo stesso
ruolo dell’artista viene radicalmente modificato.
II. IL LABORATORIO DEL ‘VIVO’
Nell’unica sua dichiarazione di poetica che ci sia
pervenuta, le postille segnate sul margine di un
esemplare delle Vite di Vasari posseduto dai tre
Carracci, Annibale sottolinea l’impegno richiesto dal
confronto con ‘il vivo’, che per il pittore non deve
costituire il punto di partenza ma quello d’arrivo, al
termine di una lunga ricerca e di un lungo studio sul
naturale. I dipinti raccolti in questa sezione, in
taluni casi basati su uno stesso soggetto, illustrano
questo atteggiamento che, nell’opporsi alle scorciatoie
del Manierismo, mira a restituire una nuova moralità al
fare pittorico. Nello stesso tempo l’esercizio dal vero
serve a preparare l’artista ai temi della pittura
ufficiale.
III.
L’ACCADEMIA DEGLI INCAMMINATI.
UNA DIFFICILE AFFERMAZIONE: DIGNITÀ DEL VERO E PITTURA A
SOGGETTO ILLUSTRE
Seconda capitale dello stato pontificio, Bologna è la
città in cui si registrano con maggiore evidenza le
nuove attenzioni che la chiesa controriformata manifesta
nei confronti della pittura, sentita come “libro degli
ignoranti”. Diversamente da Ludovico, mosso da una
convinta adesione alle nuove esigenze, Annibale mostra
la propria indole profondamente laica e sperimentale
nell’atteggiamento realistico con cui affronta le prime
composizioni sacre. Il confronto con il cugino e con il
fratello, solidali nell’impegno sul vero ma diversamente
orientati circa il modo di raggiungerlo, si esplica
nelle imprese collettive ad affresco, a partire dal
fregio con Storie di Giasone in palazzo Fava (1583/84),
dove i giovani artisti si cimentano per la prima volta
con i temi mitologici. L’Accademia degli Incamminati,
fondata dai tre Carracci nel 1582, è il luogo in cui le
novità carraccesche vengono sostenute e diffuse
attraverso il lavoro con gli allievi. In quest’ottica i
dipinti dei cugini, che lungo tutto l’ottavo decennio
collaborano tra loro ad importanti imprese decorative,
acquistano anche un intento dimostrativo.
IV. UN FURIOSO AMORE PER LA VERA GRANDE PITTURA ITALIANA.
L’INCONTRO CON VENEZIA
Come ha chiarito Roberto Longhi, l’atteggiamento
anarchico e sperimentale di Annibale cambia segno nel
momento in cui, dovendo confrontarsi con i grandi temi
della pittura di storia, viene preso da “un furioso
amore per la vera grande pittura italiana”. Non si
tratta però di sostituire altri modelli a quelli
tosco-romani proposti dai Manieristi: nel mettere in
discussione il principio di imitazione proprio del
Manierismo, i Carracci intendono incamminarsi su una
strada in direzione del vero già battuta prima di loro
da altri artisti, soprattutto Correggio e Tiziano.
V.
ALLA RICERCA DI NUOVI SBOCCHI PROFESSIONALI. LA MESSA A
PUNTO DI UN LINGUAGGIO AULICO
Dopo l’impresa di palazzo Magnani (1590), che suggella
il successo ormai conquistato dai tre Carracci in campo
cittadino, si avverte da parte di Annibale la necessità
di sottrarsi alla tutela di Ludovico e di cercare
sbocchi professionali altrove. Sono dapprima, di nuovo,
Parma e Reggio Emilia ad offrire al giovane pittore il
terreno per nuove sperimentazioni, prima che la chiamata
a Roma da parte del cardinale Odoardo Farnese (1595) non
gli spalanchi la possibilità di lavorare in un centro
che sembra offrirgli la massima possibilità di
espressione.
VI. ROMA: IL SOGNO DELL’ANTICO E LA LEZIONE DEI MODERNI
In questa sezione sono raccolte alcune testimonianze
grafiche e pittoriche del nuovo interesse per l’antico
che coglie l’artista al momento del suo arrivo a Roma,
sul finire del 1595. Anche in questo caso l’antico non
costituisce però un modello da imitare pedissequamente,
ma deve essere di volta in volta verificato sul vero. La
presenza di Annibale a Roma arricchisce il dibattito ivi
in corso tra i vari modi di fare pittura. La scelta
classicista da lui promossa appare di straordinaria
novità, anche per la capacità che il pittore bolognese
mantiene di rapportarsi alla realtà. È la vittoria della
strada “lombarda” della pittura italiana secentesca,
alla quale il Caravaggio darà di lì a poco altra
risonanza.
VII. AL SERVIZIO DEL CARDINALE ODOARDO FARNESE
Avviata con il fratello Agostino e ultimata nel 1600, la
decorazione della Galleria del palazzo del cardinale
Odoardo Farnese in Campo de’ Fiori costituisce la vetta
dell’arte di Annibale e insieme, a causa
dell’insoddisfacente rapporto con il committente, la
motivazione dei crucci e delle insofferenze che
caratterizzeranno il suo successivo percorso. Sfogata
esibizione di doti illusionistiche che, nel momento in
cui affrontano i grandi temi della mitologia greca,
mirano principalmente a sottolineare le virtù della
pittura come mezzo di conoscenza del reale, la Galleria
richiese ad Annibale un numero straordinario di disegni
preparatori dei quali viene qui offerta un’ampia scelta.
VIII.
IL NUOVO RAFFAELLO E LA SUPREMAZIA DELL’INVENZIONE
All’indomani del completamento della volta della
Galleria Farnese, Annibale riceve la commissione di un
piccolo dipinto raffigurante il Domine quo vadis? Da
parte del cardinale Pietro Aldobrandini, nipote del papa
e rivale di Odoardo Farnese. È il suggello dell’enorme
fama che arride ormai all’artista, che viene visto come
il nuovo Raffaello e che Giulio Mancini definirà
“pittore universale” per la sua capacità di affrontare,
con un linguaggio acconcio, ogni tipo di argomento
pittorico. La straordinaria sintesi da lui attuata tra i
più disparati linguaggi pittorici si pone del resto
sulla strada dell’unità nazionale vagheggiata a queste
date anche dal papa Clemente VIII Aldobrandini.
Parallelamente alla malattia nervosa che gli impedisce
ormai di lavorare con continuità, negli ultimi anni di
vita Annibale matura un nuovo rapporto con gli artisti
della propria bottega, ai quali, come era già accaduto
per Raffaello, viene sempre più spesso demandata quasi
per intero l’esecuzione delle invenzioni da lui
elaborate col disegno. Si attua così quell’ambizione di
“inventare il vero” che, secondo modi assai diversi,
aveva mosso i suoi primi passi. Accanto ad alcuni
dipinti di straordinaria risonanza per i tempi, nei
quali si avverte peraltro bene la presenza degli
allievi, questa sezione espone una scelta di folgoranti
disegni, eseguiti per lo più a penna, in cui Annibale
elabora le idee che ne stanno alla base. |