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fino al 17.07.2005
Malevic
Roma, Museo del Corso, Via del Corso 320

Malevic, il suprematista
Dal Quadrato nero all'Autoritratto come Cristoforo Colombo, dall'astrattismo assoluto alla pittura neo-rinascimentale. Al Museo del Corso di Roma la sconosciuta parabola artistica di Kazimir Malevic
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Mostra  di "Kazimir Malevic, ospitata al Museo del Corso, gioiellino della Fondazione Cassa di Risparmio di Roma, fino al 17 luglio, sotto la cura significativa di Eugenia Petrova, direttrice del Museo di Stato Russo di San Pietroburgo, da cui provengono le opere in mostra, e Claudia Zevi, insieme al soprintendente speciale al polo museale romano Claudio Strinati. La rassegna ha innanzitutto un suo rilievo storico. Malevic (1878-1935) sembra incarnare la massima di Hegel "ciò che è noto, appunto per questo è sconosciuto". E', cioè, un artista teorico universalmente noto, considerato il padre del movimento del suprematismo, pioniere dell'avanguardia russa, a braccetto con il poeta Majakovskij e in competizione con Chagall e Kandinskij, galvanizzato da cubismo e futurismo italiano trasfigurati rapidamente in una forma di rappresentazione astratta assoluta a tratti mistica e ideologica, che tanto ispirò le avanguardie degli anni Venti guidate da Mondrian e Van Doesburg.

Eppure, la sua intera parabola artistica rimane poco conosciuta, sacrificata dalle regole di "congelamento" della grande madre Russia sotto il regime di Stalin. Resta famosa e, ancora avvolta dal mistero, la vicenda del 1927. Malevic esponeva le sue opere, figlie delle rivoluzionarie teorie contenute nel suo libro "Il mondo come non-oggettività" pubblicato dal Bauhaus, nell'antologica in tournée tra Varsavia e Berlino. Proprio qui, ricevette la misteriosa lettera che lo richiamava urgentemente in Russia, dove ritornò il 5 giugno, lasciando però i dipinti oltrecortina all'architetto Hugo Haring - opere tenute nascoste per tutta la seconda guerra mondiale fino all'inizio della guerra fredda, quando vennero acquistate in blocco dallo Stedelijk Museum di Amsterdam. Tutta questa produzione precedente al '27 venne presentata al pubblica solo nel '59 in una mostra che toccò varie città, tra cui Roma sotto la cura di Giovanni Carandente. Ma di tutto quello che Malevic realizzò nell'amata-odiata Russia dal '27, nulla se ne è saputo, né si è visto, fino agli anni Novanta.

La mostra romana vuole risolvere questo gap epocale. Vuole dare una visione complessiva e inedita della sua produzione, svelandone esiti anche sconcertanti e apparentemente incoerenti rispetto al credo suprematista, e assecondando un'evoluzione contorta e spiazzante di questo artista. Il percorso esordisce, infatti, con studi per l'affresco "Il trionfo del paradiso" (1907) infarciti di un simbolismo edulcorato quasi di scuola Nabis, alla maniera di Denis e Bonnard. Si attraverso la ricerca cubo-futurista del "Ritratto perfezionato di Ivan Kljun" del '13, dove le sembianze umane sono evocate dalla combinazione in simultanea di forme e colori, per poi approdare al suprematismo più efferato e seducente, con "Supremus n. 56" del '16, dove le forme disposte nello spazio della tela seguono un asse diagonale che imprime alla scena un forte senso dinamico, opera singolare perché può essere esposta in due posizioni diverse, con l'alto e il basso equivalenti.

 

Kazimir Malevic
Sportivi, 1928-32


Spicca il trittico del quadrato, croce e cerchio neri, che incombono come un messaggio messianico, tant'è che Eugenia Petrova, citando gli scritti di Malevic, le definisce opere che esprimevano la sua concezione dell'immagine di Dio in rapporto con l'Universo e con l'Uomo. Dopo l'apoteosi mistica di un assoluto astratto, ecco che Malevic comincia a ricucire gradualmente un figuratisvismo. E' la sua arte dopo il famoso '27, che canta un paesaggio campestre russo affollato di contadini secondo un vocabolario geometrico, alla Leger. D'una sintassi primitiva è la "Testa di contadino" del '29, un volto austero costruito per superfici rosse che si intersecano dove il rigore geometrico è sbilanciato sullo sfondo dall'immagine di aeroplani in volo, che appaiono come un'inquietante dissonanza. Tra folclore russo degli abiti e sacralità metafisica, sfilano le figure di atleti-manichini senza volto di "Sportsmen" del '31, che dialogano con le altre figure femminili, come silhouette d'atelier arcani e surreali.

E poi lo shock. Quello degli ultimi quattro anni di produzione all'insegna del figurativo più figurativo, quasi neorinascimentale, con quell'"Autoritratto" del '33 dove Malevic si immortala per i posteri come un novello Cristoforo Colombo. Una delle opere più disperate e intriganti di Malevic, più complesse sul piano dei significati. Alla base del quadro, c'è il recupero della concezione rinascimentale dell'uomo, il volersi aggrappare disperatamente a quei valori di nobiltà e ricchezza interiore tanto esaltati nel Quattrocento fiorentino. E il volto segnato da una leggera smorfia di sdegno e offesa che Malevic si incide sulla tela è rivolta a quella società contemporanea russa che ha messo in discussione la sua scoperta artistica, così come il grande scopritore del nuovo mondo fu assoggettato dal grave senso di fallimento e impotenza al suo ritorno.


Notizie utili - "Kazimir Malevic. Oltre la figurazione, oltre l'astrazione", dal 23 aprile al 17 luglio 2005. Museo del Corso, Via del Corso, 320. Roma. La mostra è curata da Claudia Beltrame Ceppi Zevi e Evgenija Peltrova.
Orario: martedì-domenica, 10- 20, lunedì chiuso.
Biglietti: intero €7,50, ridotto €5, scuole €3,50.
Informazioni: 06-6786209.

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